lunedì 16 novembre 2015

Vuolvidinia, il trattamento fisioterapico

La vulvodinia è stata già trattata in questo blog sotto vari aspetti. Non si tratta di una patologia che coinvolge un solo professionista ma necessita di una collaborazione tra professionisti. Secondo le linee guida “il trattamento della vulvodinia dovrebbe seguire i principi di gestione del dolore cronico. Il trattamento dovrebbe essere olistico e non analizzare solo il dolore primario ma anche le conseguenze che può avere sullo stile di vita e il funzionamento sessuale del paziente”.

Cosa è la Vulvodinia? La vulvodinia è un dolore cronico e continuo che si presenta nella zona vulvare, associato ad una grande varietà di sintomi: fastidio tipo puntura di spillo, bruciore, irritazione, gonfiore, disagio durante il rapporto. Le cause sono ad oggi oggetto di studio per determinarne sia i fattori scatenanti sia i meccanismi che sostengono la patologia. Spesso le persone che ne soffrono vengono etichettate come eccessivamente sensibili, ipocondriache, e spesso viene detto loro che occorrerà convivere con il dolore per tutta la vita.
I protocolli terapeutici utilizzati sono diversi, ma oggi vorrei solo focalizzare l’attenzione sul trattamento fisioterapico. La presenza in questo disturbo, di una ipercontrattura del pavimento pelvico con presenza di diversi trigger point, può contribuire a far scatenare il dolore. Nell'esame obiettivo si deve porre attenzione anche alle anomalie del passo, alle deviazioni della postura, alle asimmetrie del corpo, a movimenti ed atteggiamenti protettivi o antalgici mentre il paziente si muove, parla e si sveste.
Cosa sono i trigger point? I “trigger points” sono dei punti di dolorabilità irradiata in profondità alla pelvi o verso i genitali esterni; l’irradiazione del dolore è distante dall’area premuta. Mentre i “tender point” sono punti di dolorabilità elettiva localizzata all’esplorazione digitale, in corrispondenza dell’inserzione dell’elevatore dell’ano sulle spine ischiatiche. Entrambi dovrebbero essere ricercati durante un esame ginecologico e fisioterapico in maniera da effettuare la mappatura del dolore. Durante la valutazione clinica bisognerà esplorare tutte le aree evocative di dolore e registrare in cartella clinica il numero di trigger points o tender points presenti e l’intensità di dolore valutata su una scala da 0 a 10. Questi dati saranno necessari per effettuare un follow up successivo e capire se c’è stato un miglioramento misurabile.
L’iperattività del muscolo elevatore può essere attivata anche da fattori psichici, come parte di uno stato di allerta sistemico, con ipertono muscolare generalizzato, specie nelle donne con atteggiamento fobico verso la penetrazione. Ma non sono solo queste le cause di ipereccitabilità muscolare.
I trigger point presenti in regione vulvare, lo sono anche in altre regioni del corpo (ad esempio muscoli cervicali, regione lombare ecc.). La loro azione dolorosa, e pertanto il loro trattamento, è il medesimo. A livello vulvare, data la particolare posizione e la difficoltà nel comunicare questo disagio risulta di più difficile gestione.
Il protocollo utilizzato è la tecnica Stanford, che è stato sviluppato nel 1996 dal professore di urologia Rodney Anderson e dallo psicologo David Wise della Stanford University, e pubblicato nel 2005. Il protocollo consiste nella combinazione di una "terapia psicologica" (la paradoxical relaxation), di una terapia fisioterapica (basata sull'individuazione di trigger point all'interno del pavimento pelvico e sulla parete addominale) e di esercizi di stretching che aiutano ad ottenere un maggiore rilassamento del pavimento pelvico.

La riabilitazione del pavimento pelvico può avvenire avvalendosi dell’utilizzo del Pressure Biofeedback. Questo è un attrezzo che viene posizionato in regioni specifiche. La paziente dovrà eseguire degli esercizi non perdendo di vista il biofeedback che le darà indicazioni circa il giusto impiego dei propri muscoli. Spesso i muscoli ipertonici verranno utilizzati troppo, pertanto creando consapevolezza nella paziente si cercherà di ottenere il maggior rilassamento possibile.






Altra nota che personalmente vorrei aggiungere al trattamento su indicato, è l’utilizzo della Rieducazione posturale globale  (RPG secondo Souchard). Questa tecnica è basata sull’ utilizzo di posture di stiramento progressivo attivo dei muscoli antigravitari (statici e di natura fibrosa), interamente gestite dal terapeuta con la partecipazione attiva del paziente.
La peculiarità dell’R.p.g. è di risalire dal sintomo alla causa; l’approccio della terapia è “globale” poiché gli stiramenti imposti si propagano fino alle estremità degli arti e durante la stessa postura vengono messi in tensione tutti i muscoli retratti interessati da una lesione.
Nel caso della vulvodinia è possibile, avvalendosi della respirazione, chiedere al paziente di “soffiare nel perineo” e chiedere delle contrazioni isometriche delle regioni perineali ipertoniche ricercando il rilasciamento post- isometrico successivo dell’area. Questa tecnica consentirebbe di trattare anche regioni distanti alla regione vulvare, che possono in una certa misura essere legati alla ipertonicitàdei muscoli perineali. Posture scorrette quotidiane o atteggiamenti ripetuti possono determinare retrazioni consciamente nascoste.
Come vi ho già anticipato questo è solo uno degli approcci utilizzati per il trattamento della vulvodinia. Ma esistono diversi altri approci: quello psicologico, l’agopuntura, l’applicazione di anestetici locali. Sempre secondo le linee guida “la valutazione dei diversi trattamenti e la loro efficacia è molto complessa perché le ricerche sulla vulvodinia ha molte limitazioni in quanto pochi sono i pazienti selezionati e scarsi i dati su i controlli successivi”. Pertanto più se ne parla e maggior attenzione si crea sull’esistenza di problemi che altrimenti  resterebbero taboo.

Dott. in Fisioterapia Clarissa Bruno

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